Vardón sì da descóre, ma ancia da rivà a ‘na conclusión. Par fà calcòssa, par nó lassà massa rebandonàth i nòstre bósch. Se torna fòra i vèci i ne cópa…


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domenica 19 settembre 2010

Laboratorio Urbano Budoia 2020. Cos’è ‘sta roba?

Per chi non lo sapesse – udite, udite – a Budoia è iniziato da qualche mese un percorso partecipativo nel quale è la cittadinanza che può e che deve esprimere i propri modi di intendere e di immaginare il futuro dei nostri paesi e del territorio circostante.
L’iniziativa è partita per volontà dell’attuale Amministrazione comunale e tutto il lavoro viene portato avanti dall’arch. Monia Guarino, di Bologna, assieme ad alcuni suoi collaboratori. Uno staff di persone esperte che ha già portato a termine qualche decina di altri lavori analoghi in giro per l’Italia (anche a Pordenone, per intenderci).
E’ la prima volta che accade qualcosa di simile da noi, cioè che vi sia l’opportunità per un cittadino qualsiasi di manifestare le proprie idee sulle cose da farsi (o da evitare di farsi...), da qui al 2020, e che poi quest’ultime, invece di finire dissolte nel nulla, vengano registrate, confrontate, discusse, valutate e infine magari anche recepite in un documento che potrà fungere da supporto alle scelte dell’Amministrazione comunale.
Bene, quindi, direi.
Venerdì 3 e sabato 4 settembre scorsi ci sono stati i due primi incontri veri e propri con la cittadinanza, nei quali chiunque poteva partecipare. Prima di quegli incontri, erano stati recapitati avvisi attraverso la posta a tutti i cittadini ed esposti degli avvisi pubblici. La partecipazione è stata considerata buona il venerdì, un po’ sotto tono il sabato, specialmente nel pomeriggio.
C’era da aspettarselo: mi si dica pure presuntuoso, ma noi qui (gli autoctoni, perlomeno), sotto sotto non crediamo molto a queste cose della partecipazione, del dovere civico, eccetera. Preferiamo (siamo abituati a) risolvere i problemi, quelli "strettamente personali" come quello di voler costruire la baracca nell’orto o cambiare destinazione urbanistica al prato dietro casa, prendendo sottobraccio l’assessore o il sindaco o non importa chi altro, per discuterne al bar, meglio se davanti a un’ombra de vin.
Quindi, ombra de vin a parte, come nel resto d’Italia, dirà giustamente chi legge!
Io dico comunque, nonostante la partecipazione non proprio numerosa, che è meglio sia andata così piuttosto che il niente di prima: le cose vanno in qualche modo iniziate e poi portate avanti nel tempo. Se si fossero dovuti attendere dei segnali che avessero indicato il momento buono per avere una grande partecipazione, probabilmente l’iniziativa non sarebbe ancora partita né mai partirebbe.
Dopo questa interminabile premessa, quello che mi interessa dire è che nel corso dell’attività svolta nei due incontri, tra le caratteristiche di Budoia più frequentemente individuate dai partecipanti al laboratorio come importanti e dotate di potenzialità intrinseche, ci sarebbero gli elementi del paesaggio naturale più rappresentativi della nostra area: la montagna, i sentieri, il bosco, i prati naturali dell’alta pianura con i loro bars (le siepi arboree) e i masarons (i cumuli di sassi da spietramento dei terreni, depositati lungo i confini tra le proprietà). Assieme, vi sarebbero poi tutti gli elementi tipici dell’architettura spontanea di un tempo, rinvenibili nei centri storici dei paesi, come le case in sasso, i portoni ad arco e numerose altre componenti caratterizzanti il contesto abitativo.
In estrema sintesi:  legno e pietra.
Per quanto riguarda i boschi, è scaturita l’importanza di un loro mantenimento in condizioni migliori delle attuali, in un’ottica di multifunzionalità e non solo considerando la loro funzione produttiva.
Io, personalmente, ho cercato di insistere sulla necessità di mantenere i prati stabili naturali dell’alta pianura, fino attorno ai paesi, al fine di scongiurarne l’imboschimento (naturale o artificiale, poco importa). A differenza dei boschi, che si mantengono da sé (cambieranno le specie, ma il bosco rimane bosco), i prati sono degli ecosistemi artificiali creati dall’uomo, per cui il loro mantenimento, per motivi paesaggistici e di biodiversità, deve essere costantemente garantito (che tradotto in parole povere significa che almeno un paio di sfalci di erba all’anno bisogna farli). Ci sono già, difatti, prati che si stanno completamente chiudendo, oppure siepi che tendono a colonizzare il prato (specialmente attraverso i polloni radicali di robinia e ailanto).
Un territorio completamente invaso dal bosco non è né bello né ecologicamente vario e interessante come lo è un territorio dove l’alternanza tra bosco e prato viene preservata.
Non mi dilungo oltre, anche se di cose da dire ce ne sarebbero ancora. Più avanti aggiornerò sul procedere del Laboratorio Urbano Budoia 2020.

venerdì 10 settembre 2010

Arboreto salvatico

Ho recentemente ricevuto in dono, da una coppia di amici, il libro “Arboreto salvatico”, di Mario Rigoni Stern.
L’ho subito apprezzato come regalo, per un senso di stima che ho sempre nutrito verso l’autore.
E’ un libretto sottile, consta di un centinaio di pagine, ma ciò non limita la trasmissione di quegli elementi di sensibilità ed emotività di chi, per una vita, ha saputo osservare l’incanto della natura e delle sue manifestazioni.
Il libro descrive venti diverse specie arboree che lo stesso autore aveva piantato nel terreno circostante la propria abitazione, sull’altopiano di Asiago.
Ogni singola descrizione tratta vari aspetti: dalle caratteristiche botaniche, all’ecologia, agli usi del legno, fino alle credenze popolari e ai miti dell’antichità.
E’ piacevole leggere queste descrizioni, con esse si fa un po’ una ripetizione di cose già conosciute e un po’ una scoperta di aspetti meno noti.
La cosa più importante, per me, è però il grande equilibrio nell’approccio con gli alberi e il bosco che l’autore dimostra di possedere, che si coglie nettamente nell’introduzione. Egli infatti, nel momento stesso in cui riconosce il grado di dipendenza in cui si trova l’uomo rispetto alle foreste, ricorda come il rispetto delle regole selvicolturali, definite in secoli di attività a partire dalla Repubblica di Venezia, possa garantire contemporaneamente il godimento dei servigi che la foresta offre e la perpetuazione della stessa in efficienti condizioni.
In definitiva, l’uomo non è sempre e necessariamente elemento di disturbo, ma può essere gestore accorto del patrimonio naturale.
Per quanto possiamo, ricordiamocelo e ricordiamolo agli altri: è importante.

Arboreto salvatico

‘Na cùbia de amighi i me a apéna regalàt al libre “Arboreto salvatico”, de Mario Rigoni Stern.
Al me a plasùt subito come regalo, parchè Rigoni Stern lo ai sempre consìderat un òn da stimà.
L’é un librùt sotìl, a l’à un thentenèr de pagine, ma chisto nó l’inpedìss da véde la sensibilità e l’emotività de chi che, par duta la só vita, a l’à savùt vardà l’incanto de la natura e de le só manifestathións.
Al libre al descrìf vinti difarénti cualità de alberi che al stesso autór l’aveva inplantàt ‘ntel terén intór via ciasa sóa, su l’altopiano de Asiago.
Ogni descrithión la parla de diverse robe: da le robe de botanica, a l’ecologia, ai usi del lénc, fin a le credenthe popolari e ai miti de l’antichità.
L’é da gòdesse a liédhe ‘ste descrithións, se fai un ripasso de robe beldà cognossùde e ancia ‘na scoperta de robe nóve.
Chèl che l’é pì inportante, par mi, l’é però ‘l gran ecuilibrio che l’autór al dimostra da ‘vé cuàn che ‘l parla de i alberi e de i bósch, che se lo ciàta pulido ‘nte la introduthión.
Lui difati, ‘nte ‘l stesso momento che al ricognóss la dipendéntha dei òmis ‘nte i confronti d’i bosch, al tin presente che ‘l rispèto de le regole pa’ tajà i bósch, definide in sècui de atività a partì da la Republica de Venethia, al pól garantì sia ‘l godimento de i servìthi che ‘l bósch al òfre, sia ‘l mantenimento in bòne condithións del stesso bósch.
E alòra, par finì, l’òn nó l’é senpre e par fortha un elemento de disturbo, ma ‘l pól ésse gestór aténto del patrimonio de la natura.
Par tant che podón, pensónselo e tornón a failo pensà a chei altre: l'é inportante.