Vardón sì da descóre, ma ancia da rivà a ‘na conclusión. Par fà calcòssa, par nó lassà massa rebandonàth i nòstre bósch. Se torna fòra i vèci i ne cópa…


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mercoledì 22 dicembre 2010

'Na poesiuta 'ntel bósch

LA CASSIA

Varda ‘sta cassia
varda che bestia
nó se la inbràtha
da granda che l’é

Oio e missèla
drento la séa
tira la mantia
e acèlera un póc

Cùthete in banda
de la tó cassia
planta la lama
abasso sul thòc

Taja 'na stèla
che la séa dréta
Va par davórie
e taca a seà

Sta gran aténto
co’ la se pléa
mòla dut quant
e s-ciampa lontan

Dhó che l’é dhuda
thentha problemi
Torna unlì dónge
e regola ‘l thòc

E adèss ché fato?
Legne o chè altre?
Forsi l’è miei
scurtà su dut quant

Taja le rame
scùrtele a un metro
e para in banda
la pluma pì 'n là

Taca dhó in ciàf
taca a  thoncià
dal cul  la taja
e riva fin là

Su la forthèla
adess che fato?
Forsi l’é miei
drethàla cussì

Va anciamò avanti
l’é quasi fàta
dóe-tre scurtàde
e po’ l’é finìt...

Varda che lusso
te à ormai finìt
E adéss bél bélo
ti palséte un póc

Su la giachéta
ocio la schéna
col fréit che l’é
sta gran riguardàt...

Sùjete ‘l frónt
plén de sudór
bevi ‘na nica
e vàrdete intór

Che bel lavoro
che ‘l te vin fòra
al’é fadìa
e sodisfathión

Pensa i colèghi
drento a l’ufìcio
a voltà ciarte
e po' porconà...

Altre che ló-ór...
ti te só un siò-òr!
In mièth al bó-ósch
ti e chel  pi-ta-ró-óss...

P.S.: i non budoiesi (e i poeti veri) abbiano compassione di me...

Mauro Thuciàt

venerdì 10 dicembre 2010

Produzione di legna da ardere di qualità

In un precedente post mi ripromettevo di parlare di come fare per ottenere legna di buona qualità.
Il motivo deriva dal fatto che mi capita sovente di osservare legna da ardere di qualità discutibile. Tanto per fare un esempio, poco tempo fa, alla tradizionale sagra della castagna di Mezzomonte, tra le varie cose poste in esposizione c’era un bancale di legna di faggio che, a mio avviso, non faceva una bella figura. Si trattava infatti di legna di grossa pezzatura, tonda, cioè non spaccata, molto umida e di colore scuro. Se mi trovassi nelle condizioni di dover comperare della legna, sicuramente eviterei quella che si presenta in tali condizioni, difficile da bruciare se prima non la si spacca e la si fa stagionare per un bel po’.
L’esempio serve per ricordare che in commercio si trova un po’ di tutto, dalla legna di ottima qualità a quella di qualità scadente. Il consumatore dovrebbe perciò affinare l’occhio per saper riconoscere le principali pecche, quando presenti.
Andando a monte, cioè prima della collocazione sul mercato - oppure fino all’accatastamento per la stagionatura, nel caso di legna prodotta per autoconsumo da parte di possessori di boschi - vi sono dei semplici accorgimenti che consentono di garantire una buona qualità del prodotto finale. Questi accorgimenti si applicano a partire dalle attività in bosco – che precedono e seguono l’abbattimento degli alberi - fino alle successive fasi di lavorazione e stagionatura che generalmente si svolgono fuori foresta.
Come vedremo, si tratta di piccole attenzioni che se applicate fanno la differenza. In termini generali, sono operazioni e accorgimenti che tendono a contrastare e ridurre i processi di degradazione biologica del legno. E’ anche vero, per dirla tutta, che la loro applicazione risulta più semplice e agevole nel caso del taglio di piccole superfici boschive, con limitati quantitativi di legname tondo da trasformare in legna da ardere, mentre possono confliggere con altre esigenze operative, di natura logistica e di organizzazione, quando ci si trova in presenza di ampie superfici di bosco da tagliare e grandi quantitativi di legname da trasformare, come può capitare per le attività imprenditoriali di rilevanti dimensioni.
C’è inoltre da tener presente che la degradazione biologica del legno tagliato non è uguale per tutte le specie arboree: vi sono specie il cui legno è naturalmente più durevole, che quindi sono più semplici da trattare durante il ciclo di produzione della legna da ardere (robinia, orniello, carpino nero, querce...), altre invece molto delicate in relazione alla scarsa durabilità naturale del loro legno (faggio, carpino bianco...).
Per cominciare - come insegnavano i vecchi una volta - bisognerebbe tagliare le piante in bosco in fase di luna calante e nel periodo del loro massimo riposo vegetativo, che da noi è il mese di gennaio. Abbinando questi due accorgimenti si otterrebbe un legno meno aggredibile dagli agenti di degradazione (funghi e insetti). E’ chiaro che, mentre la fase di luna calante è relativamente facile da rispettare, il periodo di massimo riposo vegetativo non lo è altrettanto. Per cui, più ci si discosta da quest’ultimo, per esempio andando a tagliare d’estate in alta montagna, dove d’inverno non è possibile operare, più si devono attuare altri accorgimenti per salvaguardare l’integrità e la qualità del legno. Nel caso in cui si tagli una porzione di bosco nel pieno dell’attività vegetativa delle piante, l’accorgimento che normalmente si adotta è quello di fare l’abbattimento degli alberi e lasciarli interi sul letto di caduta per 10-15 giorni, in maniera che il fogliame richiami a sè buona parte della linfa, prima di appassire e disseccarsi, abbassando così il contenuto idrico del legno del fusto e dei rami principali.
Solo dopo questa prima operazione, di spurgo della linfa circolante nei tessuti legnosi, si può procedere con la sramatura e la depezzatura delle piante, ricavando gli assortimenti voluti.
Dopo aver fatto queste seconde operazioni bisogna comunque non abbassare la guardia, poiché una sosta a terra in bosco del legname così allestito lo porta a degradarsi piuttosto velocemente: le condizioni di temperatura e umidità presenti in bosco d’estate favoriscono gli attacchi di funghi e insetti. Specialmente i funghi, riescono a colonizzare il legno rapidamente, innescando dapprima il cosiddetto “sobbollimento”, con ingrigimento dei tessuti legnosi e, a più lungo andare, determinando il fenomeno della carie (generalmente “carie bianca”, ove prevale la lisi della lignina presente nelle pareti cellulari). Questi fenomeni di degradazione biologica del legno svalutano qualitativamente il legname fermo in bosco e lo rendono anche più leggero, cioè meno denso (molecole complesse vengono trasformate in molecole più semplici, con rilascio di CO2, quindi con perdite in termini ponderali). Pertanto, l’esbosco del legname deve essere quanto più rapido possibile, compatibilmente con tutte le altre attività che possono impegnare un’impresa di utilizzazione boschiva.
Anche le fasi successive, cioè la lavorazione e l’accatastamento per la stagionatura, devono seguire a breve distanza di tempo, evitando quindi l’accatastamento pre-lavorazione per lunghi periodi e in condizioni tali da predisporre il legname alla degradazione (per esempio a contatto col terreno naturale e non sollevato da terra). Una volta che il legname è stato accorciato e spaccato, ottenendo la legna da ardere della pezzatura voluta, quest’ultima dev’essere posta a stagionare in un luogo che permetta una buona ventilazione, al riparo dalla pioggia.
Riassumendo, tutti gli accorgimenti che ho finora elencato sono da applicare meticolosamente nel caso in cui si abbia a che fare con specie il cui legno è di scarsa durabilità naturale, come il faggio, il carpino bianco, il pioppo, i salici ed altre ancora, specialmente quando le piante sono tagliate durante l’attività vegetativa. Viceversa, per specie il cui legno è naturalmente più durevole, come querce, robinia, carpino nero, orniello, ecc., gli stessi accorgimenti rimangono sempre validi anche se il loro mancato rispetto provoca una minore degradazione del legname e quindi delle perdite qualitative meno evidenti.
Per quest’ultime specie, solitamente tagliate in pieno inverno, l’esposizione della legna spaccata alla pioggia per un certo periodo di tempo prima della stagionatura, pare addirittura migliorarne le caratteristiche di combustibilità. Quest’ultima tecnica è praticata qui da noi per la legna ricavata dagli orno-ostrieti.
Un cenno poi al legno di castagno, che per il suo forte contenuto in tannino è meglio lasciare alle intemperie, dopo averlo spaccato in pezzi, in maniera che si purifichi. Ne deriva comunque una legna  di bassa qualità combustibile.
Per finire, inserisco alcune foto che testimoniano le “magagne” cui va incontro la legna se non gestita a dovere nell’intero ciclo di produzione.
Nella prima immagine vediamo come si presenta internamente del legno di carpino bianco rimasto a lungo (da gennaio a luglio) depositato a terra in tronco, senza essere depezzato, spaccato e messo a stagionare: il colore bianco che si nota chiaramente è dato dal micelio fungino che ha invaso i tessuti legnosi, prevalentemente a livello parenchimatico. Il legno quando è così ridotto perde la sua compattezza originaria e durante lo spacco non si apre solo in senso longitudinale alle fibre, ma anche trasversalmente alle stesse: il "gradino" che si nota in primo piano si è appunto formato durante lo spacco del tronchetto.

La seconda immagine mostra un tronchetto di carpino bianco spaccato in due pezzi, dove si può notare chiaramente, dall'alto verso il basso, la transizione tra una zona profondamente cariata e invasa da lerve di insetti xilofagi (coleotteri cerambicidi) e la sottostante zona relativamente meno degradata. In questo caso, il tronchetto è stato ricavato dalla parte alta del fusto di una pianta  rimasta stroncata in bosco per un'intera stagione. Non si tratta quindi di cattiva gestione del legname tondo depositato in attesa di lavorazione, ma comunque può rendere l'idea della facile aggredibilità di questa specie legnosa da parte degli agenti di degradazione.
La terza immagine mostra ancora la presenza delle larve all'interno di legno che si presenta ingrigito sotto l'azione di funghi che causano il "sobbollimento", quindi prima della ulteriore degradazione verso la carie bianca.

 Nella quarta immagine vediamo il degrado cui è andato incontro un tronco di robinia rimasto depositato a terra per alcuni mesi dopo il taglio. Maneggiandolo prima delle operazioni di depezzatura e spacco la corteccia si staccava facilmente poiché i tessuti floematici erano stati completamente utilizzati dalle numerose larve che si scorgono chiaramente nella foto.
Nelle ultime due immagini si vedono più chiaramente le larve, che probabilmente sono di coleotteri tenebrionidi, le nicchie sottocorticali dove si sono sviluppate e la rosura umida, simile a del terriccio, formatasi come residuo della loro attività.
Chiudo con questo la veloce carrellata sul degrado del legno di alcune latifoglie.