Ho recentemente ricevuto in dono, da una coppia di amici, il libro “Arboreto salvatico”, di Mario Rigoni Stern.
L’ho subito apprezzato come regalo, per un senso di stima che ho sempre nutrito verso l’autore.
E’ un libretto sottile, consta di un centinaio di pagine, ma ciò non limita la trasmissione di quegli elementi di sensibilità ed emotività di chi, per una vita, ha saputo osservare l’incanto della natura e delle sue manifestazioni.
Il libro descrive venti diverse specie arboree che lo stesso autore aveva piantato nel terreno circostante la propria abitazione, sull’altopiano di Asiago.
Ogni singola descrizione tratta vari aspetti: dalle caratteristiche botaniche, all’ecologia, agli usi del legno, fino alle credenze popolari e ai miti dell’antichità.
E’ piacevole leggere queste descrizioni, con esse si fa un po’ una ripetizione di cose già conosciute e un po’ una scoperta di aspetti meno noti.
La cosa più importante, per me, è però il grande equilibrio nell’approccio con gli alberi e il bosco che l’autore dimostra di possedere, che si coglie nettamente nell’introduzione. Egli infatti, nel momento stesso in cui riconosce il grado di dipendenza in cui si trova l’uomo rispetto alle foreste, ricorda come il rispetto delle regole selvicolturali, definite in secoli di attività a partire dalla Repubblica di Venezia, possa garantire contemporaneamente il godimento dei servigi che la foresta offre e la perpetuazione della stessa in efficienti condizioni.
In definitiva, l’uomo non è sempre e necessariamente elemento di disturbo, ma può essere gestore accorto del patrimonio naturale.
Per quanto possiamo, ricordiamocelo e ricordiamolo agli altri: è importante.
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