Vardón sì da descóre, ma ancia da rivà a ‘na conclusión. Par fà calcòssa, par nó lassà massa rebandonàth i nòstre bósch. Se torna fòra i vèci i ne cópa…


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domenica 8 agosto 2010

Sappiamo conservare la legna da ardere?


Può apparire banale o addirittura superfluo parlare delle modalità di conservazione della legna da ardere. Avendo però constatato con quale frequenza certi errori si ripetono, forse è il caso di dire qualcosa.
Che la legna da ardere prediliga i luoghi asciutti e ventilati, riparata dalla pioggia diretta già lo sappiamo. Ma perché allora talvolta capita di vedere delle cataste di legna collocate in ambienti poco idonei per la conservazione o realizzate senza quegli accorgimenti che ne preserverebbero la qualità?
E perchè, in casi estremi, possiamo trovare nel cuore di certe cataste dei pezzi di legna umidi e ricoperti da un vello di muffa grigia che tanto ricorda il mantello del mio gatto?
Le mie risposte, in ordine decrescente di banalità, sono le seguenti:
1) troppo spesso abbiamo una fretta immotivata (o meglio, i motivi sono assurdi) che ci spinge ad accatastare la legna ancora fresca - o troppo poco stagionata - in luoghi ove non potrà mai stagionarsi definitivamente perchè privi di adeguata ventilazione (è prassi abbastanza diffusa quella di riporre la legna entro locali chiusi come garage, ex stalle, ripostigli vari);
2) quasi sempre si trascura l’aspetto della ventilazione della catasta, cioè di favorire la circolazione d’aria su più lati. Indipendentemente dal tipo di pavimentazione presente, è meglio se la catasta viene mantenuta sollevata da terra (per esempio usando dei pallet), per ridurre lo scambio di umidità col suolo (la legna tende ad assorbire l’umidità del suolo e non viceversa). Anche lateralmente e sul retro, bisogna fare in modo di mantenere un’intercapedine tra la catasta e le pareti, per assicurare un certo giro d’aria.
Mi sembra così di aver elencato i motivi che di solito impediscono a qualcuno di avere in casa della legna ben conservata. Forse però è tutto troppo semplice. Adesso i miei ricordi corrono al passato, a un budoiese convinto che la legna del tal bosco non fosse buona da ardere come quella del tal altro bosco, con riferimento alle stesse specie arboree. Poi scoprivo che, per abitudine di un'intera vita, questi ammassava la legna ancora fresca in condizioni a dir poco scandalose, con tutto ciò che ne seguiva (catrame nella stufa, altro che brace...). Ecco allora un consiglio: piuttosto che accatastare la legna in certi locali umidi e privi di ventilazione, meglio accatastarla in un luogo aperto, come un’aia, purché sollevata da terra e ben coperta al di sopra (così la ventilazione è garantita e l’eventuale pioggia trasportata dal vento si asciuga dopo poco).
Comunque, per finire, la legna da ardere buona la si ottiene prestando attenzione lungo tutto il suo ciclo di vita, cioè a cominciare dal taglio delle piante in bosco e in avanti, fino alla bocca della stufa. Ciò che voglio dire è che se abbiamo a che fare con legna di cattiva qualità non è con l’accatastamento corretto e in condizioni ottimali che ne miglioriamo le caratteristiche. Cattiva è e cattiva rimane; tutt’al più possiamo evitare che la qualità peggiori ulteriormente.
In un prossimo post parlerò di come fare per ottenere legna di buona qualità dai tagli che noi proprietari privati facciamo per autoconsumo (e che faremo non so ancora per quanto...)

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